XV. La critica e la ricerca

XV. La critica e la ricerca

L’influenza crociana prima, i nuovi orientamenti politici, sociali, religiosi poi hanno avuto una benefica influenza sulla Calabria perché hanno contribuito allo svecchiamento delle idee e dei metodi, a far conoscere altri mondi di cultura, a rendere meno periferica e provinciale la mentalità dilettantesca di molti che si accingevano agli studi senza preparazione e con scarse basi di cultura. Il partecipare e il dissolversi della cultura calabrese in quella nazionale risulta anche dalla diaspora, per taluni aspetti dolorosa poiché il risorgimento della regione non è ancora avvenuto, di molti intellettuali calabresi nelle diverse regioni italiane e in campi di lavoro sempre più specializzati e moderni, sicché la fisionomia culturale del vecchio Reame è ormai quasi scomparsa e la civiltà del Novecento fa nascere nuovi indirizzi e nuove tendenze. Il dilettantismo è ancora presente e, anzi, è andato crescendo per influenza dei mass media, della ciarla che prevale sulle scelte razionali culturali sicché spesso incompetenti e tuttologi diventano protagonisti penosi nelle più diverse circostanze. Il populismo si qualifica sempre più come difesa di valori tradizionali, lo studio sociologico è molto vicino al semplice folklore a cui è vicina la rivalutazione del dialetto. Ma al populismo è dovuta la responsabilità di tanti motivi del moderatismo letterario (compreso il rifiuto del decadentismo, delle avanguardie, del futurismo, dell’ermetismo nonché del verismo) attestato sulla volontà di non accostarsi ai princìpi, alla lotta delle idee, alla storia della cultura ma sempre disponibile all’evasione, allo svincolamento, alle finte nobilitazioni ideali pur di non affrontare il reale. E ancora il rimprovero di De Sanctis agli scettici che si coprivano gli occhi per non vedere il reale che entra sempre da tutte le parti. E la letteratura è vera se è reale, se corrisponde all’esigenza della vita che non è mai ripetizione di vita ma creazione.

Umberto Bosco (1900-1987) di Catanzaro, allievo di Vittorio Rossi, ha avuto una vita di rappresentanza più che di sostanza, ha figurato dovunque ed ha inventato figurazioni di centenari, cinquantenari, venticinquenari ecc. di scrittori e poeti: è stato membro del Consiglio Superiore della P.I., dei Lincei, presidente della Associazione degli Studi di lingua e letteratura italiana, dell’Istituto di Studi pirandelliani, del Centro Nazionale di Studi leopardiani e di quelli petrarcheschi, della Commissione per l’edizione critica delle opere di Petrarca; non ha creato una scuola di critica (per la quale occorrono acutezza e originalità mentali) ma ha insegnato a compilare schede, schidionate di schede per più decenni dirigendo il Dizionario enciclopedico italiano, il Lessico universale italiano, l’Enciclopedia dantesca, l’Enciclopedia italiana, il Repertorio bibliografico della letteratura italiana e la rivista «Cultura e scuola». Bosco era paternalista, accademico alquanto solenne (per indicare che andava a tenere lezione diceva: «vado a dir messa»), successivamente fu fascista, democristiano, socialdemocratico, non compì ricerche sulla letteratura calabrese (le sue Pagine calabresi (1975) sono ricordi di giovinezza con ritratti di De Nobili, Casalinuovo, Butera, Chimenz, Vivaldi) intorno alla quale rimangono di lui un articolo sul «Ponte» (1950) e alcune pagine sul romanticismo calabrese derivate dalla tesi di laurea (Aspetti del romanticismo italiano, 1923). In quest’opera cerca i luoghi comuni del romanticismo verificandoli nei testi (titano, vittima) di Byron e Tasso, studiando il byronismo in Calabria in Padula, Campagna, Mauro, la lotta dell’individuo contro la società. Crociano, amava le formule: il suo Boccaccio (1929) trova l’unità nel sentimento di ammirazione per l’intelligenza, il Petrarca (1946) la trova nel sentimento cosmico della caducità, il Leopardi (1957) nel titanismo e nella pietà (titanismo di origine alfieriana, sdegno contro la mediocrità).

Non ricordato come merita è stato, neanche nella sua città, Letterio Di Francia nato a Palmi nel 1877 e morto a Torino nel 1940. La sua vita si svolge in maggior parte nel Novecento ma per il metodo comparativo l’attività del critico è da riportare ai princìpi affermatisi con l’età positivistica. Il Di Francia fu primo di dodici figli e si formò da sé, tra condizioni disagiate, con molti sacrifici (si dice che studiasse di notte alla luce dei lampioni del Municipio di Palmi). Studiò a Palmi e Monteleone, all’università di Messina seguì le lezioni di Giovanni Pascoli e di Vittorio Cian ma si laureò alla Normale di Pisa con una tesi su Sacchetti novelliere. Quindi insegnò nelle scuole italiane all’estero di Scutari, Il Cairo, Tunisi, Tripoli (1902-1908) e, in Italia, a Torino e Napoli. Partecipò alla prima guerra mondiale come ufficiale di artiglieria; congedato fu nominato preside a Parma e poi a Torino. Sul Giornale storico della letteratura italiana pubblicò molti contributi sul Boccaccio e le sue novelle, altri contributi seguiranno su Bandello, Basile, le novelle orientali di Gaspare Gozzi; nel 1924 nella vallardiana collana dei generi letterari pubblicò La novellistica, nel 1929-31 pubblicò le Fiabe e novelle calabresi (saranno ristampate nel 1934-35 a Torino). Nel 1924 conseguì la libera docenza in Letteratura italiana.

Per raccogliere le fiabe e novelle calabresi seguì l’indirizzo demopsicologico e presentò il testo dialettale (che tradusse in italiano) di sessantuno fiabe e novelle raccolte a Palmi, con numerose varianti. Difese il suo metodo comparativo contro il Croce, con molto coraggio, quando ormai il crocianesimo era una dittatura degli estetizzanti. Fine di quel metodo, ribattè al Croce, non era soltanto il fine astratto di determinare l’origine delle fiabe popolari ma era, soprattutto, quello storico ed estetico di seguire le metamorfosi dei testi per adattarsi ai gusti e ai costumi dei diversi popoli: con tale studio si discerne lo storico dal favoloso, il plagio dal lavoro originale e, nella stessa originalità di uno scritto, le sfumature e gradazioni che costituiscono la personalità psicologica, artistica e morale dell’autore e le sue particolari tendenze.

Forse la registrazione dei testi fu eccessivamente ortofonica. Nella raccolta figurano anche novelle non conosciute altrove come quelle sulla credenza, in Calabria, della metempsicosi; ai luoghi indeterminati il Di Francia sostituisce località prossime e note, le erbe salvifiche sono numerose; il povero e il ricco si differenziano soprattutto nel mangiare e il lieto fine è contornato da cibi e banchetti (il povero, invece, rimane «cu li mani vacanti»); animali vari (uccelli, cani, agnelli, cavalli) presentano qualità prodigiose e danno luogo a trasformazioni (da uomo in formica, da fanciullo in agnello, da principessa in colomba, da principe in statua di marmo).

Raffaele Sirri di Cetraro (1920), ordinario di Letteratura italiana nell›università di Napoli, direttore di «Annali» (sezione romanza), presidente del comitato per l’edizione nazionale delle opere di G.B. Della Porta e componente di quello per l’edizione nazionale delle opere di Telesio, è critico che affronta i problemi di metodo, di testo, di interpretazione con molta chiarezza e con gusto personale. Il critico scevera, non si lascia impigliare da pseudo-problemi né da preconcetti metodologici ed esamina le opere e i momenti culturali con limpidezza. Per taluni è di ascendenza crociana il suo gusto letterario che segnerebbe la prevalenza della poesia sulla cultura ma nelle opere di Sirri gli elementi concreti sono sempre sul piano della verifica; così in Retorica e realtà nella poesia giambica del Carducci (1965), in La cultura a Napoli nel Settecento (1970), Studi sulla letteratura dell’Ottocento (1992), in Schede per il teatro del Rinascimento (1966), in Sul teatro del Cinquecento (1989) ecc. Studi di estetica e letteratura si alternano nell’attività di Sirri con saggi sugli illuministi, sui romantici, sugli scrittori del secondo Ottocento. Gli studi di Sirri nascono con una impostazione trasparente e la dimostrazione si appoggia alla storia e alla filologia.

Allo studio della letteratura calabrese Sirri ha contribuito con i contributi su Telesio, Padula, Misasi e sul romanticismo in Calabria fondato su «una coscienza storica e un riscatto civile», potenziale poetico di una natura ancora primitiva (come diceva De Sanctis) e destinato a dileguare all’apparire del verismo. Fra i contributi calabresi non bisogna dimenticare la preziosa edizione della Farchinoria di G. De Giacomo (1972), importante documento di etnologia calabrese. C’è, infine, la scrittura giornalistica di Sirri, raffinata e impegnata sul piano morale e culturale, attenta alla vita della Calabria e della nazione.

Siro Amedeo Chimenz di Catanzaro (1897-1962) con i suoi studi, certamente di ambito crociano, vuole potenziare il momento individualizzante; il Bosco ricerca le costanti, le tematiche: i topoi dello spirito romantico, i compromessi tra tendenza patetica e tendenza realistica del romanticismo, il sentimento cosmico della labilità in Petrarca. L’originalità è maggiore nel Chimenz seguace del metodo psicologico, abile nel mantenere equilibrio fra testo e biografia, fra analisi estetica e psicologica. Siamo sempre in un crocianesimo che ha variazioni di toni di fedeltà; il più ortodosso dei crociani è Giuseppe Citanna di Limbadi (1890-1978) ma il suo procedere è un gioco di specchi, un continuo confronto e parallelo tra poeti e artisti, poeti e letterati, letterati e musicisti, pittori in un continuo confronto fra le arti, come fa osservare Antonio Testa il quale ha studiato puntualmente la critica letteraria dei calabresi nel Novecento ma anche la critica dei calabresi nell’età del positivismo. Citanna riduce il crocianesimo alle più lontane radici vichiane e destoricizza gli argomenti con la distinzione netta tra poesia e non-poesia che, invece, il Croce ha cercato di sdrammatizzare e di attenuare. Negli studi più consentanei (Alfieri, Foscolo, Leopardi) e in quelli meno consentanei (Parini, Manzoni, Carducci) Citanna pone in primo piano le contrapposizioni tra fantasia e immaginazione, passione ed emozione ecc. come in una prova didascalica di un sistema.

Né Chimenz (insigne studioso di Dante, di Boiardo, di Pascoli) né Citanna (studioso di Parini, Foscolo) si sono occupati di letteratura calabrese; tra gli italianisti ricordiamo Guido Di Pino di Bagnara, allievo di Momigliano e seguace del metodo estetico; Nino Borsellino (1929) di Reggio, autore di studi sul teatro (commedie del Cinquecento, tradizione del comico, Pirandello), Machiavelli, De Sanctis, Verga; Walter Pedullà di Siderno che ha avuto come maestro Giacomo De Benedetti (come Saverio Strati e Carmelo Filocamo); Giuseppe Troccoli di Lauropoli che ha studiato Verga; Antonio Barbuto di Soverato. Altri studiosi di letteratura italiana si sono occupati anche della letteratura calabrese e il primo posto tocca a Vito G. Galati (1893-1968) di Vallelonga, cattolico antifascista, avverso alle ideologie retoriche, collaboratore del «Baretti», autore del Dizionario. Gli scrittori della Calabria (1928, con prefazione di Croce; dell’opera è stato pubblicato solo il primo volume), di studi su Ammirà, Anile, Gerace, i dialettali: in Galati l’erudizione si unisce alla modernità e al gusto; Gregorio Cianflone di Nicastro ebbe maestri Torraca e Calcaterra, si è occupato di Milelli, del Casopero, di Foscolo, Della Valle; Pasquale Tuscano di Bova è autore di un profilo della letteratura calabrese, di Campanella; Antonio Pagano di Nicotera è studioso di Zumbini, di Ariosto; Giuseppe Inzitari si è occupato di Dante e Gioacchino da Fiore, dei romantici calabresi; Antonio Jacopetta ha studiato Franco Costabile, il Novecento italiano; Giovanni Russo ha studiato la cultura di Polistena, Vincenzo Rovere; Franco Mosino è autore dell’insostituibile Storia linguistica della Calabria (due voll., 1987,1989) preceduta da Note e ricerche linguistiche (1977), Le origini del volgare in Calabria (1981), Testi calabresi antichi (1983) e di preziose ricerche sulle vicende linguistiche calabresi, dell’edizione della Canzone di Maurello, della scoperta di numerosi testi inediti anche delle minoranze calabresi; Giuseppe Falcone, studioso di linguistica e dialettologia originale e scientifica, è autore di Una campagna di inchieste nella Calabria settentrionale (1970), Il dialetto romaico della Bovesia (1973), Calabria (profilo dei dialetti calabresi, 1976), Indovinelli, filastrocche, proverbi del popolo calabrese (1979), Lingua e dialetto (1983), Varia linguistica (1984) e di innumerevoli ricerche sui parlari calabresi, sulla cultura popolare; Pasquino Crupi (1940) di Bova Marina è studioso di sociologia della letteratura, di storia della letteratura calabrese, di cultura sociale della regione, del rapporto tra letteratura ed emigrazione, tra letteratura e brigantaggio, letteratura e mafia, di saggi sugli eventi principali della Calabria in stretta connessione di cultura e vita sociale e politica: tra i molti studi ricordiamo un profilo di Mario La Cava (1968), uno studio sulla repubblica di Caulonia (1975), altro studio sui fatti di Melissa (1976), i profili di Saverio Strati (1971) e Francesco Perri (1975), una indagine sulla condizione femminile in Calabria attraverso gli scrittori calabresi del Novecento, una storia «tascabile» della letteratura calabrese (1977) e una Storia (in tre volumi, 1993-96) della letteratura calabrese, L’anomalia selvaggia (1992) su letteratura e mafia nonché Rossi di sera (1994), uno struggente racconto di vita politica e morale in un paese della Calabria, dolente e ironico, dominato dal sentimento dell’aggregazione popolare (sotto il segno della passione civile bisogna ricordare i periodici democratici diretti da Crupi, «Calabria oggi», «La voce del popolo», scuole di cultura popolare).

Sull’attività critica di Antonio Piromalli (di Maropati, 1920) riferiamo (da Studi in onore di A. Piromalli, voll. I, 1993) alcune delineazioni compiute da Tommaso Scappaticci:

«Nel metodo di Piromalli il discorso letterario si accorda all’impegno ideologico nell’evidenziare il carattere storico e più precisamente di classe dell’esperienza artistica e nell’attribuire al critico una funzione diversa da quella tradizionale: non si trattava più di valutare l’opera sulla base del puro godimento estetico che da essa si ricavava, ma occorreva impegnarsi nell’interpretazione della concezione della vita dell’autore e calarsi, attraverso lo specifico dell’indagine letteraria, nella realtà della vita e della storia degli uomini. L’arte non va osservata astrattamente, nella sua edenica purezza, ma riportata in un preciso contesto ambientale e temporale che consenta di coglierne le radici e i condizionamenti: d’ora in poi i saggi di Piromalli affiancano al rigore della sintesi critica la perspicuità di ampie prospettive storiche, spesso delineate attraverso pazienti ricerche condotte negli archivi che gli permettono di portare alla luce documenti rari o ignorati e di acquisire un’erudizione vasta e minuziosa, non compiaciuta di sé ma funzionale alla caratterizzazione del prodotto artistico. E, comunque, il suo è uno storicismo consapevole della complessità del fatto letterario e attento a evitare i rischi del sociologismo volgare e la semplicistica riduzione dell’arte a rispecchiamento delle condizioni ambientali. La risoluzione del giudizio valutativo in esame interpretativo e la convinzione che all’arte occorre assegnare un valore non solo lirico ma anche logico e intellettuale orientano Piromalli, attento lettore – tra l’altro – delle opere di Galvano Della Volpe, verso una impostazione storiografica attenta alla ricostruzione della poetica degli autori, della loro ideologia e dei rapporti con il pubblico. Il suo interesse si rivolge così a questioni finora trascurate dalla storia letteraria, come a scoprire e saggiare campi di indagine e prospettive metodologiche che consentano di correggere luoghi comuni della critica e di tentare una ricostruzione della storia delle nostre lettere in chiave problematica, al di fuori degli schematismi e da un punto di vista democratico e progressista. Con uguale sicurezza prende in esame figure estremamente diverse, analizzandole alla luce di un metodo che ha i suoi punti costanti di riferimento nei concetti di storicismo e di realismo, ma che è anche sottoposto a continua verifica in una lunga serie di sondaggi critici attenti a cogliere i rapporti tra arte e ideologia attraverso l’istituzione di nessi dialettici dinamici e complessi […].

Uomo di scuola che ha alle spalle decenni di esperienza come preside, provveditore, Ispettore di Ministero, docente universitario, Piromalli ha attuato un metodo che affianca la contestazione della cultura di élite al superamento dei limiti di una critica restia a cogliere il soffio di fecondo realismo che alla letteratura viene dalla storia e dalla politica, dal contatto con una realtà umana e sociale non astrattamente considerata. È significativo, a tal riguardo, il fatto che l’attività di riscoperta e valorizzazione della cultura popolare non sia mai stata disgiunta in lui da una ferma volontà di rifiutare ogni forma di idealizzazione del mondo contadino. Pseudoconcetti come quelli della «calabresità» e «romagnolità», dell’esistenza di un’anima popolare collettiva e regionale dai connotati psicologici costanti, sono alla base di mitizzazioni che indulgono al gusto del pittoresco nella creazione di falsi valori e di figure stereotipe prive di consistenza storica. Piromalli collega la nascita di queste astrazioni a «una tradizione interessata a non storicizzare, a non cogliere il rapporto tra società e cultura» e ne attribuisce la responsabilità alle mistificazioni operate dalla cultura egemone che si è servita della trasfigurazione estetizzante del mondo subalterno come di «un mezzo per spegnere i risentimenti delle differenze di classe: l’interpretazione del mondo contadino come mondo idillico, nel quale le deviazioni dall’idillico e dal produttivo avvengono per impulsività individuale, mira a rimuovere il peso della fatica e i problemi che ne derivano» (Letteratura e cultura popolare, p. 44). E a questa visione estetizzante egli contrappone l’esigenza, nella vita civile come nell’attività critica, di guardare alla concretezza dei problemi, alle reali condizioni dei ceti inferiori, alla connessione cultura-società: «Direi che compito delle istituzioni, dei gruppi, degli intellettuali, sia quello di prendere coscienza dei problemi della regione (la Calabria), di collegarli con quelli del Mezzogiorno, in una prospettiva unitaria e nazionale di fondo, studiarli nella loro specificità locale e territoriale, proporli alla discussione unitaria, confrontarli, lottare per essi, per risolverli» (Fortunato Seminara, p. 171)

Quanto alle storie letterarie, la propensione di Piromalli per questo tipo di studi risale agli anni della Letteratura calabrese e si è venuta chiarendo negli ultimi tempi, in relazione al maturarsi del suo storicismo e in una prospettiva che, ancora una volta, accomuna le dimensioni regionali e nazionali della nostra letteratura. A La storia della cultura a Rimini nell’Ottocento (Rimini, 1981) è seguita, pertanto, la Storia della letteratura italiana (Cassino, 1987), che deriva i suoi caratteri dall’impegno a elaborare un manuale scolastico aderente a un ben preciso metodo di ricerca e di periodizzazione, ma anche dal continuo contatto avuto dall’autore con il mondo della scuola. L’impianto del lavoro nasce dalla convinzione della nuova funzione che le storie letterarie devono assolvere in un quadro socio-culturale profondamente modificato dal raffermarsi della civiltà di massa che richiede una ricerca storico-materialistica dei modi di produzione letteraria, lontana dalle teorie idealistiche dell’arte come forma superiore e sovrareale. Per Piromalli, molto vicino in questo caso ai presupposti della petroniana Attività letteraria in Italia, la letteratura è da intendere come attività umana, realtà storica e sociale, i cui protagonisti vanno visti come portatori di specifiche istanze conoscitive e critiche, che hanno tradotto in arte una visione storicamente organica della realtà. Perciò, senza penalizzare i connotati individuali delle singole opere e senza rinunciare all’esplicitazione del proprio punto di vista, si insiste sulla funzione sociale della letteratura, sui rapporti degli autori con il pubblico e sulle tecniche di trasmissione delle ideologie, mentre si dà ampio spazio all’interdisciplinarà e alle culture subalterne, nella consapevolezza che una storia letteraria che aspiri ad essere «veramente integrale» deve prendere in considerazione tutte le forme dell’attività letteraria».

Nell’attività di Vincenzo Paladino (1923) di Scilla studi di letteratura italiana e di letteratura calabrese hanno eguale dignità di attenzione e di elaborazione. Le sue aree di ricerca fondamentali sono state quella romantica e manzoniana (La revisione del romanzo manzoniano e le postille del Visconti, 1964; studi sull’oggettività manzoniana, sul sodalizio Visconti-Manzoni), quella alvariana (L’opera di Corrado Alvaro, 1968; Alvariana, 1993), quella campanelliana (Utimi studi campanelliani, 1979; L’opera poetica di T. Campanella, 1994; una scelta delle poesie filosofiche di Campanella è del 1979). Ricordiamo anche le monografie sul Praga (1967), su Vittorio Imbriani (1969), su S. Quattromani (1976), sui Malavoglia, sul Mattia Pascal nonché volumi di saggi (Profili, varianti e altro, 1974; Mitologia romantica, 1981) e studi sui narratori calabresi dell’Otto e del Novecento (1981, 1982), Calabria ultima (1992) in cui storia culturale e miti della Calabria sono documenti importanti di metodo che collega la regione alla vita della nazione. La singolarità di Paladino è una scrittura critica percorsa da brividi artistici fortemente vitali e lontani dall’accademismo. L’attività pubblicistica e di militante danno nervatura alla critica con il richiamo alla contemporaneità vivente, dopo – ovviamente – che il tema è stato storicizzato. Si veda come la problematica di Paladino sia viva – è un solo esempio – in Cultura e narrativa calabrese tra Otto e Novecento nella delineazione di Campanella intellettuale che percorre il tragitto tra la cultura popolare e quella elitaria senza «rifiuti, abbandoni, simulazioni comunque proditori» valendosi di linguaggio, magismo, utopismo del mondo contadino che venne filtrando: due linguaggi erano nella tradizione e quello umanistico divenne peculiare degli intellettuali che si avviavano alla burocrazia e alle professioni liberali. Il romanticismo calabrese avrebbe assunto nel suo realismo motivi popolari. In ultima analisi la tensione mentale e critica di Paladino è verso la verità e lo studio della Calabria ha gran parte nella sua attività. Tra i saggi più recenti sono notevoli Verga e il suo lettore (1994), L’«altrove» di Pirandello (1994) che utilizza la destrutturazione pirandelliana del reale in funzione ontologica.

Dotato di forte nervatura critica e morale è Mario Rocco Morano, nato a Merano (1943) da genitori calabresi. Ha scritto sulla letteratura calabrese due saggi rigorosi e di ampio respiro (Gramsci, la letteratura regionale e due scrittori calabresi del primo Novecento: F. Perri e L. Rèpaci, 1977; Eros, satira sociale, ulissismo e «nostos» nella musa silvestre di Michele Pane, 1993) ma è comprensibilmente avversario irriducibile della critica localista o strapaesana che costituisce l’immiserimento di quasi tutte le riviste letterarie calabresi. Su varie riviste ha pubblicato saggi su Dante, Petrarca, L.B. Alberti e autori di Otto e Novecento. Nel 1991 ha pubblicato in volume un ampio saggio sulla storia della critica e una nota bibliografica sull’unica tragedia di Pietro Aretino, L’Orazia, la cui edizione critica è stata curata da Michele Lettieri (nato a Celico, nel cosentino, nel 1953 e attualmente professore associato di Lingua e letteratura italiana nell’università di Toronto). Morano ha esaminato l’Aretino da autore a personaggio nella tradizione letteraria attraverso i topoi e le varianti nelle discipline e nel costume di diverse epoche relativi alla personalità rinascimentale (di un Rinascimento in cui Aretino è flagello dei princìpi ma anche uomo di lussuria, di romanità imperiale, di volontà di potenza, di scapigliatura, di ribellione, di superomismo). Lezioni e corsi estivi su Aretino, Machiavelli, Pirandello il Morano ha tenute nelle università di Toronto, Los Angeles, Northridge, nel Middlebury College del Vermont, nell’università di Groningen collaborando a studi americani su Pirandello.

Morano dirige anche la «Fondazione G.A. Peritore» istituita per custodire e valorizzare il patrimonio librario e il materiale inedito donati dal critico di Licata Peritore alla biblioteca Circoscrizionale di Agrigento (del comitato scientifico della Fondazione fanno parte Morano, M.C. Barbagallo, G. Bàrberi Squarotti, R. Contarino, A. Piromalli, R. Rinaldi, P.M. Sipala); presso l’editore Marra dirige la collana di critica, da lui ideata, «Iride» alla quale collaborano i principali italianisti nazionali o operanti all’estero. Morano è benemerito per avere coordinato o diretto due prestigiose e rigorose riviste di letteratura e critica; la prima è «Ipotesi 80» fondata nel 1981 da Silvio Vetere e il cui programma è articolato da Morano sull’esercizio della ragione, sul confronto, sull’oltrepassamento della cultura locale o provinciale, sull’apertura a problemi di dimensione europea. La rivista cessa la pubblicazione al 27° numero per la morte (1990) di Vetere. La seconda rivista, fondata e diretta da Morano dal 1991, è «Campi Immaginabili», anch’essa a dimensione internazionale (con redazione canadese e statunitense; della prima fanno parte Michele Lettieri e Guido Pugliese di Malito (1941), studioso di linguistica applicata e curatore del testo di un volume dell’Edizione nazionale del carteggio di L.A. Muratori). Questa rivista quadrimestrale continua il programma che l’ha resa la più moderna e attenta rivista della regione per gli studi di storia letteraria, semiotica, per le letture dei testi, le strutture dell’immaginario, per la contrapposizione al facilismo di tante altre manifestazioni: essa è lo spaccato migliore dell’Italia culturale ed è la proiezione della serietà e profondità di interessi di Rocco Morano, del suo gusto moderno.

Carmine Chiodo nato a Caccuri (1949) è ricercatore di Lingue e letterature comparate all’università di Roma, studioso particolare dell’Otto e del Novecento e di letteratura calabrese (La satira nel Risorgimento. Rosa e Carbone, 1987; Poeti calabresi tra Otto e Novecento, 1993; Ottocento minore: Pananti, Borsini, Fusinato, Baravalle, 1995) ma ricco di interessi verso gli altri secoli (Il gioco verbale: studi sulla rimeria giocoso-satirica del Seicento, 1990; La poesia bernesca del Settecento, 1987), collaboratore di importanti riviste di letteratura («Campi Immaginabili», «La Rassegna della Letteratura Italiana»).

Aldo Maria Morace (1950) di Reggio, ricercatore di Letteratura italiana presso l’università di Messina, è studioso di Montale, Capuana, Alvaro, autori sui quali si è provato sia con esperienza storica che filologica; l’ampiezza e la profondità dei suoi studi sono documentate dai lavori sulla novella romantica calabrese in Il raggio rifranto (1990); Giovanni Sapia è studioso di umanisti calabresi e della cultura di Rossano.

Tra i critici militanti ricordiamo Paolo Apostoliti, Pietro De Seta, Pietro Pizzarelli, Gabriele Pizzuti (1909-1978), Alfredo Sisca, Gabriele Turchi, Sharo Gambino, Carmelina Sicari; altri (dirigenti politici di eccezionale valore) hanno collegato la cultura con le strutture economiche e sociali come Francesco Spezzano di Acri (1903-1976) o esercitato la critica con impegno fortemente costruttivo come Mario Alicata.

Studiosi di filologia romanza sono stati Alfredo Cavaliere di Crotone e Vincenzo Romano; di letteratura greca Aristide Colonna di Fiumefreddo Bruzio, Annunziato Presta di Marano Principato, Vincenzo Di Benedetto (1934) di Altomonte; di filosofia greca Carlo Diano (1902-1974) di Vibo Valentia, che fu lettore di italiano nelle università di Lund, Copenaghen, Goteborg, maestro di papirologia, estetica, storia delle religioni nell’università di Padova dove creò anche un centro per lo studio della tradizione aristotelica ed un altro centro, unico in Italia, dedicato allo studio dell’orfismo (con la sua grande personalità Diano fu anche poeta; da Limite azzurro, 1976, postumo, citiamo:

Ora sui nostri monti Demetra cerca piangendo
miseramente il viso della bella Persefone,
ora a terra si sfa l’oliva sotto la pioggia,
suona intorno il vento predatore di foglie);

di letteratura tedesca Italo Maione (nato da famiglia paolana a Buenos Aires nel 1891, morto a Napoli nel 1971), formatosi alla scuola di G.A. Borgese, di De Lollis, Adolfo Venturi all’università di Roma, incline a studiare il «dramma» dell’artista, dal 1936 professore all’università di Messina, poi di Palermo e Napoli, autore di studi sul romanticismo tedesco, su Rilke, Heine, Lenau, Grillparzer, sull’espressionismo tedesco, su Wagner, sull’epopea nazionale in Germania; di letteratura francese Italo Siciliano (1895-1980) di Campo Calabro, autore di saggi su Villon (1934), sulle origini della chanson de geste (1940), su Racine (1943), su Banville (1927), sul romanticismo francese (1955), professore e poi rettore dell’università di Venezia; di storia antica Nicola Putortì; di geografia Luigi Lacquaniti di Palmi (1901-1982), personalità versatile con interessi anche letterari e artistici; di archeologia Salvatore Settis di Rosarno (1940), Tanino De Sanctis direttore di «Magna Graecia» e difensore del patrimonio archeologico calabrese contro barbari locali e nazionali; di grecità bizantina Domenico Minuto di Reggio, difensore delle comunità grecaniche e rivalutatore del patrimonio culturale basiliano; insigne storica dell’arte è Emilia Zinzi, studioso di epigrafia giuridica è Felice Costabile.

Il folklore ha avuto ed ha in Calabria importanti studiosi: Giovanni de Giacomo (1867-1929) di Cetraro, amico di Vincenzo Julia, di Padula, di Anile, Maradea, Antonio Julia, fu demo-psicologo della regione in Il popolo di Calabria (1895), Folklore pacifista (1904), negli studi sui pregiudizi, sulle imprecazioni e in quella originalissima relazione su eros e magia in Calabria che è la Farchinoria. Raffaele Lombardi Satriani di S. Costantino di Briatico (1873-1966), direttore di «Folklore calabrese», «Folklore», «Il Retaggio» e autore della Biblioteca delle tradizioni popolari calabresi (il primo volume fu edito nel 1928), dell’edizione dei canti popolari di S. Costantino (ma anche di proverbi, favole, fraseologia popolare, novelline, scongiuri, indovinelli, consuetudini giuridiche, motivi religiosi ecc.); G.B. Marzano di Polistena; Giovanni Tucci di Marzi; Raffaele Corso; Antonio Basile; Luigi Maria Lombardi Satriani (1936) di S. Costantino di Briatico è attualmente il maggiore studioso di antropologia culturale calabrese, gramsciano, originale elaboratore dei contenuti ambivalenti del folklore calabrese (1968), di Folklore e profitto (1973), di Menzogna e verità nella cultura contadina del Sud (1974), del folklore come cultura di contestazione (1976), di Diritto egemone e diritto popolare (insieme con Mariano Meligrana), di Un villaggio nella memoria (con Mariano Meligrana, 1983) e di altre opere prestigiose che si distaccano nettamente dai raccoglitori di tradizioni (ancora numerosi e infesti per mancanza di orizzonti culturali) e, per la prima volta, interpretano il significato della cultura popolare e ne demistificano taluni significati passatisti e reazionari; per altri aspetti specifici dell’attività culturale di Lombardi Satriani si vedano Il silenzio, la memoria e lo sguardo (1980), Il ponte di S. Giacomo. L’ideologia della morte nella società contadina del Sud (con Mariano Meligrana, 1982); dalla sua scuola derivano Domenico Scafoglio di Bocchigliero e Vito Teti (1950) di S. Nicola da Crissa: Scafoglio ha studiato l’emarginazione letteraria di Padula (1979), il carnevale del Settecento (1981), Lazzari e Giacobini (1981), la teoria della lingua e la ricerca dialettologica di Padula in L’immaginazione filologica (1984), Il «Te Deum» de’ Calabresi (1983) nonché molti problemi importanti della cultura calabrese e del mondo popolare con personale originalità e nervatura derivante dal possesso sicuro dei mezzi tecnici di ricerca (edizioni di testi, revisioni, nuovi impianti ecc.); Vito Teti, sulla linea della problematica del folklore come cultura di contestazione e della necessità di un impegno meridionalistico fondato sulla conoscenza antropologica, con Il pane, la beffa e la festa (1976) ha fornito un’analisi del folklore indagato in connessione con la condizione alimentare delle classi subalterne e con La razza maledetta (1993) ha studiato in modo moderno il pregiudizio antimeridionale (altre sue opere molto originali sono Il paese e l’ombra del 1989, La melanconia del vampiro del 1994).

Padre della etnomusicologia italiana e studioso di valore mondiale è stato Diego Carpitella (1924-1990) di Reggio, titolare della prima cattedra italiana di Etnomusicologia, conoscitore di tutti i fatti musicali, fautore dell’analisi elettroacustica e dei sussidi adatti a riprodurre nel modo più fedele la musica popolare; gramsciano, Carpitella ha polemizzato con il folk music revival che inficia per la logica del profitto un importante settore e la sua validità storica e documentaristica; negli anni Cinquanta lavorò con Ernesto De Martino e curò gli scritti di Bela Bartók.

Studioso di glottologia è stato Giovanni Alessio; paletnologi di grande attività sono stati Armando Lucifero, Giuseppe Foderaro, Domenico Topa spesso richiamati alla memoria da Domenico Teti e Raffaele Aversa1 nei loro studi; storici dell’arte sono stati Bruno Chimirri, Alfonso Frangipane, Antonio Basile, Luigi Parpagliolo (1862-1953) di Palmi (tradusse anche Iperione di Holderlin), Michele Guerrisi (1893-1963) di Cittanova, professore nelle Accademie di Belle Arti di Palermo, Carrara, Torino, Roma, scultore ispirato al classicismo e decisamente avverso alle avanguardie del Novecento, filosofo dell’arte (Dei valori e ideali pratici di storia dell’arte, 1920) apprezzato da Croce, da Flora, da Soffici (del ritorno all’ordine), autore di un busto di Croce, del monumento ai caduti a Palmi (qui anche del monumento a Cilea), a Catanzaro, di un ritratto a De Chirico, della statua della Filosofia nel palazzo della Civiltà all’EUR, di mirabili statue femminili, di piccoli monumenti (a Reggio) dedicati a Pascoli, Vitrioli, Ibico, di pannelli ispirati ai pinakes di Locri («la vita dell’uomo» a Roma); altri studi storico-estetici sono L’idea figurativa (1952) e L’errore di Cézanne (1954) (questo secondo lavoro è fortemente polemico contro l’arte moderna).

Tra gli studiosi di filosofia ricordiamo Emilio Barillari (1872-1965) di Reggio, docente di filosofia del diritto a Cagliari, Messina, Catania, Bari (qui fu anche rettore dell’Università); Felice Battaglia (1902-1977) di Palmi e Domenico Antonio Cardone di Palmi, direttore di «Ricerche filosofiche», Antonino Lo Vecchio di Palmi, autore di Filosofia della prassi e filosofia dello spirito (1928) citato da Gramsci (ma attraverso una recensione di Giuseppe Tarozzi come opera di un crociano che discute le tesi sulla filosofia della prassi di Antonio Labriola, Croce, Gentile, Rodolfo Mondolfo, Baratono, Alfredo Poggi); Domenico Scoleri (1905-1962) di Gerace, studioso di esistenzialismo e socialismo (Solitudine metafisica e solidarietà umana, 1953); Giovanni Di Napoli; Fortunato Brancatisano; Luigi De Franco traduttore di Telesio, studioso di Campanella e ordinatore della filosofia calabrese del Cinque e del Seicento; Rodolfo De Stefano, reggino, scomparso nel 1989, animatore della sezione reggina della Società filosofica italiana, autore di Per un’etica sociale della cultura (su Di Stefano hanno scritto Domenico Farias, Vincenzo Panuccio, Aldo Siciliano, Cesare Valenti); Cesare Valenti (1917) di Bivongi, ordinario di filosofia teoretica a Messina e di filosofia morale a Cassino, ha pubblicato i primi suoi scritti su Ricerche filosofiche. Tra i principali lavori sono Ricerche per una sociologia dell’emozionale (1970), Indifferenza e ambiguità (1974), Dissuasione metafisica (1993). Ha diretto Pensiero e società; la riflessione filosofica di Valenti si è mantenuta su una duplice direttiva apparentemente conflittuale o antitetica. Da un lato, sul fronte teoretico, ha professato una sorta di antifilosofia o radicale rifiuto di qualsiasi pretesa filosofica come sapere fondante ed edificante: quanto più recentemente è maturato e si è esplicitato come pensiero «decostruttivo» o «postmoderno», di liquidazione, al limite, della pretesa filosofica come presunta tale, e che Valenti fissa a suo modo, terminologicamente, come «dissuasione metafisica». Dall’altro ha rivendicato una sorta di critica e riduzione sociale della categoria emotiva, tradizionalmente spregiata come empiria animale preteoretica, destinata comunque a una finale subordinazione e scomparsa-appagamento telologico-razionale.

La svolta emotiva o svolta sociale di cui parla Valenti non è una edificazione che possa sostituire lo scetticismo teoretico. Si tratta di emotività infatti e non di razionalità, di una emotività incatenata e una matrice sociale vincolante. Oggi questa posizione è espressa e diffusa in primo luogo come svolta linguistica ed ermeneutica e poi, più a fondo, come etica comunitaria, sia pure, criticamente, come a fronte di una «comunità assente». Un emotivismo di matrice sociale e perciò non più empirico e contingente, certo, ma non per questo imputabile di trascendentalismo, circondato come è, per la sua finitezza e mortalità, da una verità esterna «terrificante».

Filosofo morale e linguista è stato Giuseppe Gangale (1898-1978) che si convertì al calvinismo, diresse «Conscientia», rivista a ispirazione protestante divenuta per opera sua cenacolo dell’opposizione intellettuale e laica al fascismo; vi collaborarono assiduamente Gobetti, Banfi, Tilgher, Momigliano, Limentani, Basso. Abolita dal fascismo la rivista Gangale fondò la casa editrice Doxa; dal 1934 Gangale visse in esilio in Svizzera, poi in Danimarca dove si dedicò agli studi dialettologici e filologici, collaborando con Hjelmslev. Tra le sue opere politiche c’è Rivoluzione protestante; Revival (risveglio evangelico, uscito nel 1929) è una storia del protestantesimo e del suo clima culturale dal 1818 al 1929, l’appello a una rinascita etico-civile degli italiani, a una ricollocazione nella storia perché l’Italia per la sua assenza spirituale è stata oggetto di ritardi e di mali civili. Gangale è nato a Cirò Marina, la madre era italo-albanese e il figlio studiò nel collegio italo-albanese di S. Demetrio Corone. Nel 1924 a Firenze Gangale divenne direttore di «Conscientia», durante l’esilio studiò filologia classica a Tubinga, Warburg, Erlangen, nel 1940 diventò docente di italiano e reto-romancio all’università di Aarhus in Danimarca, nel 1959 ebbe la cittadinanza danese, in Calabria ritornò nel 1954 e fondò un centro di studi greco-albanese che porta il suo nome.

Studiosi di storia regionale o nazionale sono: Ernesto Pontieri, Domenico Marincola-Pistoia, Carlo Felice Crispo, Cesare Minicucci (1868-1957), Oreste Dito autore di pregevoli opere sugli ebrei in Calabria, sulla massoneria calabrese; Vittorio Vissalli autore di studi sul risorgimento in Calabria; Roberto Lucifero; Francesco Foberti che dedicò parte della sua vita a studi gioachimiti; Luigi Aliquò Lenzi (fu anche giornalista e poligrafo); Vito G. Galati (cattolico repubblicano antifascista, mazziniano e studioso del Risorgimento); Salvatore Gemelli di Anoia, autore di studi su Gerace, Polsi, Rohlfs, fu medico geriatra; Biagio Cappelli di Morano Calabro, allievo ideale di Paolo Orsi, studioso del monachesimo basiliano, della storia architettonica ed edilizia, di Rossano bizantina, dell’iconografia della Madonna in Calabria; Domenico Zangari; Francesco Russo di Castrovillari, autore di una storia della diocesi di Cassano, della cronotassi dei vescovi di Rossano, dei regesti pontifici, di una storia della Chiesa in Calabria, degli scrittori di Castrovillari e di notevoli studi su Gioacchino da Fiore; Gaetano Passarelli; Giuseppe Pignataro; Maria Mariotti; Pasquale Sposato; Carlo Nardi autore di un’opera storica su Montalto Uffugo; Agazio Trombetta studioso dei viaggiatori stranieri in Calabria, dei «caffè» di Reggio; Umberto Caldora storico dell’età napoleonica in Calabria; Enzo Misefari autore di una storia sociale della Calabria, del mondo contadino, dell’anarchismo nella regione ma anche fine letterato, amico di Quasimodo e uno dei componenti la famosa «brigata» messinese quasimodiana; Gustavo Valente coordinatore di storia patria; Rocco Liberti studioso di archivi della Piana di Gioia Tauro e storico di Oppido Mamertina; Vincenzo Saletta; Domenico Di Giorgio direttore di «Historica», studioso di storia risorgimentale; Ferdinando Cordova studioso dei partiti politici, della massoneria in Calabria; Pietro Borzomati studioso dei movimenti cattolici nella regione; Lucio Villari studioso del Settecento e del Novecento; Giuseppe Fiamma di Acri studioso di devozione religiosa popolare per il lavoro sul Beato Angelo di Acri; altri operosi storici sono Saverio Di Bella, Giuseppe Masi, Francesco Volpe, Piero Bevilacqua, Vincenzo Villella; Rosario Villari autore di pregevolissimi lavori sul Seicento, sulle rivoluzioni di quel secolo, di un serrato e fondamentale manuale di storia italiana, di studi sul movimento operaio e contadino (Villari è stato redattore di «Cronache meridionali», membro della Consulta dell’Istituto per la Storia dell’età moderna e contemporanea, del Comitato direttivo dell’Istituto «Gramsci», deputato del gruppo parlamentare comunista); studioso di largo respiro e di massima competenza di storia della Calabria è Augusto Placanica le cui opere sono fondamentali per gli intrecci fra economia, società, istituzioni: Il patrimonio ecclesiastico calabrese nell’età moderna (1972), Mercanti e imprenditori nel Mezzogiorno settecentesco (1974), Cassa sacra e beni della Chiesa nella Calabria del Settecento (1970), Alle origini dell’egemonia borghese in Calabria (1979), Il filosofo e la catastrofe (1985), sono talune delle opere di Placanica dalle quali non si può prescindere nello studio della regione ma occorre ricordare anche il volume La Calabria (1985) che Placanica ha curato con Piero Bevilacqua, i due volumi di La Calabria nell’età moderna (1985, 1988), la Storia della Calabria moderna e contemporanea curata da Placanica e la cura del già ricordato Giornale di viaggio di G.M. Galanti (1981); Gaetano Cingari (1926-1994) è stato validissimo storico della società e della cultura meridionale che ha collegato con la cultura nazionale, studioso di Gobetti, di sanfedisti e giacobini nel 1799 in Calabria (in cui è la storia della lotta tra vecchia e nuova cultura nel secondo Settecento), di Domenico Mauro, del Risorgimento in Calabria, del socialismo nella regione, della Calabria postunitaria, di Reggio (Cingari è stato rappresentante alla regione, parlamentare nazionale ed europeo, prima socialista poi comunista) ecc.

Di storia del teatro è studioso Alfredo Barbina che ha compiuto notevoli ricerche e scoperte su Giangurgolo. Dovremmo ricordare ancora giornali, riviste di letteratura (almeno «Brutium» che fu diretta a Reggio da Alfonso Frangipane, «Nosside» a Polistena da Arturo Borgese, «Chiarezza» a Cosenza da Luigi Gullo; «Quaderni Calabresi» e «Calabria/Cultura» da Agostino Cajati ecc.) ma una storia non è una rassegna né una cronotassi. Importante in questa storia della letteratura di una regione è la dialettica con la cultura nazionale.

Ricordiamo ancora alcuni giornalisti specifici o caratteristici per innovazioni apportate o per professionismo, dato che il giornalismo è un fenomeno assai diffuso nella società e nella cultura del secondo dopoguerra: Alberto Cavaliere (1897-1967) di Cittanova fece parte del Partito Comunista clandestino, collaborò al «Marc’Aurelio», al «Becco Giallo», compose la Chimica in versi (1926) ed emigrò in Francia; caduto il fascismo si iscrisse al Partito socialista, fu consigliere comunale a Milano, poi deputato (1953-58); altre sue opere umoristiche sono Storia di Roma in versi, Da Cesare a Churchill, estrose, manifestazione di un carattere aperto, cordiale; Vito G. Galati alla cui iniziativa sono legate tre testate: «Il popolo» (1922-25), «Il popolo oggi» (1942), «Cultura e azione» (1954-58); Arturo Lanocita; Giambattista Madia; Guido Puccio; Giovanni Greco; Giuseppe Selvaggi; Vincenzo Talarico; Leonardo Vitetti; Domenico Zappone; Giuseppe Malara; Mario De Gaudio; Antonio Altomonte; Domenico Teti; Sharo Gambino; Luigi Pellegrini; Coriolano Martirano; Italo Calabrese; Vincenzo Dattilo; Cesare Mulè; Emilio Frangella; Francesco Fiumara; Pasquino Crupi; Guido Cimino; Dino Gentilomo; Tullio De Luca ecc.

Giornalista veramente libero fu Titta Foti di Siderno (1912-1978), anarchico, studioso di Bakunin, Kropotkin, Malatesta; nel 1956 diventò direttore di «Il Gazzettino del Jonio», poi chiuso, riaperto nel 1962 fino alla morte del direttore. Al giornale collaborarono sempre Antonio Piromalli (con oltre un centinaio di puntate di «Lettere vanitose»), Pasquino Crupi, Nicola Zitara, Salvatore Santagata, Sharo Gambino; Foti fu un giornalista di assalto, promotore di battaglie giornalistiche appassionate contro soprusi e malcostume, fondate sulla democrazia e sui problemi meridionali. Il suo giornale fu giornale di idee, antitetico ai conformismi. Anticonformista fu anche Giuseppe Grisolia (1924-1993) di Castrovillari che diresse «Il Calabrese» (1947-48), «Il Quadrato» (1971-72), «Cultura calabrese» e dal 1966 al 1970 le manifestazioni culturali e artistiche di Praia a Mare. Si è occupato del socialismo in Calabria, delle lotte per la terra a Cassano Jonio, dei giornali politici calabresi del Risorgimento, di diversi scrittori calabresi del Novecento, della storia di Castrovillari; giornalista, scrittore, figura di democratico è stato Pasquale De Filippo; alla cultura del territorio della Piana di Gioia si sono dedicati Isabella Lo Schiavo Prete, Ugo Verzì Borgese, Umberto Di Stilo; a Reggio è nata nel 1898 Ester Panetta docente di etnografia e dialettologia arabe, autrice di importanti studi sulla cultura della Libia; poligrafo con precipua tendenza archeologica ed etnologica fu Emilio Barillaro (nato a S. Giovanni di Gerace nel 1904), scopritore di necropoli, studioso di Locri, della cultura popolare, autore anche di versi dialettali Péttina e lizzi, giornalista, pittore e scrittore è stato Nino Zucco nato a S. Eufemia d’Aspromonte nel 1910; Pino Arlacchi di Gioia Tauro è autorevole sociologo e studioso della mafia; Mario Alcaro di Catanzaro (1940) è acuto studioso di Dewey, di Galvano Della Volpe, delle lotte contadine in Calabria; abbiamo presenti molti altri studiosi calabresi assai validi nelle specifiche discipline (citiamo a caso: da Renato Dulbecco che è oriundo calabrese a Francesco Antonio Répaci, a Vincenzo Caglioti, a Umberto Moricca, a Francesco Quattrone ecc.) ma non possiamo neanche ricordarli perché i loro nomi entrano a fare parte della storia della cultura ma non della letteratura calabrese che ha il suo specifico la cui nervatura è la linea della nostra trattazione, linea sempre in discussione perché si tratta di storia in divenire e in rapporto con la storia della cultura e della società, della scienza e del costume. Molte personalità da noi sommariamente menzionate meriterebbero un ricordo più incisivo ma sarebbe un fuori di opera. Ma per concludere il lungo elenco nel quale sopravviverà chi si è impegnato con integrità umana, con verità individuale di partecipazione morale e intellettuale ricordiamo Filippo De Nobili (1875-1962) di Catanzaro, laureatosi a Messina in giurisprudenza, per 54 anni direttore della Biblioteca Municipale di Catanzaro, simbolo della generosità e del disinteresse calabresi, del sentimento civile e democratico, prezioso raccordo culturale di generazioni operose; Francesco Tigani Sava, bibliografo calabrese, ha fornito le Prime note su Filippo De Nobili e i suoi corrispondenti (1976) ed ha al suo attivo importanti studi su Jerocades (contributo bibliografico e lettere inedite), su F.S. Salfi, sulle biblioteche in Calabria, sulla diffusione delle idee in Calabria fra Sette e Ottocento nonché l’utilissima Bibliografia calabrese; ha fondato e dirige il «Bollettino calabrese di cultura e bibliografia»; calabresi Lucia Lopresti (morta nel 1985) ha avuto solo i genitori, alunna e moglie di Roberto Longhi, mutò il proprio nome in Anna Banti; esordì come studiosa di storia dell’arte e scrisse un grande libro. Artemisia (1947); fu anche narratrice e ricordiamo di lei Noi credevamo (1978), romanzo ambientato nell’Italia dell’Ottocento, La camicia bruciata (1973) e uno dei più bei racconti del nostro secolo, Lavinia fuggita (1950); fu donna di carattere difficile ma anche malinconico; Gaetano Greco-Naccarato (1911) di Castrovillari, emigrato da giovane in Lombardia, come giornalista di scientifica documentazione ha combattuto battaglie per l’istituzione dell’università in Calabria e ha denunziato le condizioni di arretratezza della regione a cento anni dall’Unità; Antonio Basile (1908-1973) di Palmi fu storico del movimento contadino, nella sua città la Società calabrese di etnografia e folklore, il Museo di etnografia e folklore calabresi, diresse la rivista Folklore della Calabria dal 1956 al 1963; filosofo dell’esistenzialismo fu Oreste Borrello di Nicastro autore di studi su Leopardi, Gravina, Pirandello, Sartre, Heidegger; sono studiosi della cultura albanese Italo Costante Fortino, Giovanni Laviola, Antonio Bellusci, Giuseppe Faraco, Francesco Animare, Carmelo Candreva (1931-1982), Albino Greco; autore di un poemetto in latino e latinista è Giuseppe Pensabene di Reggio, studiosa di rilievo del mondo bizantino con Dominazione bizantina e civiltà basiliana nella Calabria prenormanna (1977) è Felicia Lacava Ziparo (che è anche autrice di un ottimo libro narrativo e memorialistico, Cantavamo Lilì Marlene).

L’Accademia Cosentina (che nel nostro secolo ha avuto come presidenti Nicola Serra, Amedeo Perna, Giuseppe Carrieri, Filippo Amantea Mannelli, Mario Misasi) per bocca del suo attuale presidente Luigi Gullo ha enunciato nel 1984, alla Conferenza nazionale delle Accademie e degli Istituti culturali, il suo programma meridionalista e democratico di autonomia e libertà ma nel quadro del programmatico servizio da rendere alla cultura e alla ricerca scientifica. Finalità centrale è l’informazione ampia che corrisponde al desiderio generale di conoscenza che ha preso il posto della rassegnazione che un tempo asserviva le masse al trasformismo, al clientelismo.

Col nome di Luigi Gullo concludiamo l’itinerario novecentesco della cultura calabrese; il presidente dell’Accademia Cosentina è garanzia democratica, con l’attività che compie, della continuazione della cultura del passato per creare un futuro più umano poiché ciò che si crea ha sempre legami con la tradizione. Luigi Gullo è studioso di diritto penale (ha scritto saggi sul reato di calunnia, sul tentativo criminoso, ha pubblicato arringhe) ma diritto, politica, cultura formano in lui una unità come si può vedere nel documento di una biografia ideale che è Conversazione a Macchia; i motivi democratici illuminano vita e attività culturale e i recenti studi La prova penale (1995), Delitto, pena e storicismo (1995) sono i contributi che confermano il valore della certezza del diritto, cioè della civiltà, della libertà e della giustizia.

  1. Domenico Teti di S. Nicola da Crissa, studioso interdisciplinare, ha fornito contributi scientifici e umanistici nel quadro dell’unità della cultura; fondatore della Unione Culturale Calabrese ha illustrato la Calabria dalla preistoria e dai filosofi e medici magnogreci ai poeti e scrittori contemporanei.